Muoversi 3 2021
8

PNRR: SERVE UN COORDINAMENTO TECNICO-SCIENTIFICO

PNRR: SERVE UN COORDINAMENTO TECNICO-SCIENTIFICO

intervista di Marco Frittella


Romano Prodi

Presidente Fondazione

per la Collaborazione

tra i Popoli

Professor Prodi, innanzitutto grazie per aver accettato il nostro invito a partecipare all’Assemblea dell’unem con questa intervista.

È un mio piacere.

Quello che le chiediamo è di aiutarci a guardare un po’ nel futuro, e nel futuro della decarbonizzazione e della transizione ecologica. Ci sono tante speranze ma anche tante inquietudini. Secondo lei abbiamo valutato a fondo l’impatto sul sistema industriale di questo profondo cambiamento nel modo di produrre e consumare energia?

No, purtroppo, e questo mi preoccupa. Si tratta di obiettivi sani e legittimi, però abbiamo pensato soprattutto al traguardo da raggiungere ma non a come arrivarci. Io vorrei evitare una cosa: noi siamo europei, non dico
neanche italiani. Abbiamo speso in tutti i paesi europei, e in Italia ancora di più, delle enormi somme per incentivare il solare, con un discreto successo, ma poi tutto è stato realizzato dai cinesi. Con un comportamento di questo tipo distruggiamo le nostre imprese e le nostre strutture economiche. Come presidente della Commissione Europea sono stato il primo a volere il Protocollo di Kyoto; sono andato a chiedere l’elemosina in tutto il mondo per avere la firma perché americani e cinesi erano contro, però dobbiamo ammettere che nessuno di quegli obiettivi è stato ancora raggiunto.

C’è una differenza interessante, mentre le fonti fossili soddisfano ancora oggi l’80% della domanda totale di energia, soprattutto nei paesi poveri, nei paesi ricchi c’è la corsa alle rinnovabili. Che conseguenze può portare tra nord e sud del pianeta?

Nella mia esperienza le conseguenze le sta già generando, cioè la reazione dei paesi poveri… la stessa reazione cinese di quando il Paese era arretrato. Ora tutta l’Africa sta in questa stessa posizione psicologica, allora noi se vogliamo davvero che i Paesi in via di sviluppo arrivino ad un consumo di energia in modo sano, equilibrato, dobbiamo preoccuparci anche di loro, aiutarli nelle tecnologie, integrarli nel sistema, e questo lo stiamo facendo solo in minima parte.

Ma secondo lei non c’è forse il rischio, per esempio, di una delocalizzazione di intere filiere industriali verso zone del mondo che hanno regole meno stringenti delle nostre, di quelle che ci stiamo autoimponendo, penso per esempio all’acciaio.

Lei parla di acciaio, ma anche la raffinazione è un’attività già in fase delocalizzazione, per questo mi preoccupo. Se metà dell’acciaio del mondo viene prodotto in Cina, con tutta l’ammirazione per l’industria cinese, vuol dire che qualcosa non funziona. Gli italiani li ho sempre visti poco presenti nel portare avanti le nuove regole; ora non è affatto detto che abbiamo i medesimi interessi dei tedeschi e dei francesi, in secondo luogo stiamo attenti perché avendo poche grandi imprese italiane, non avendo nessuno dei giganti chimici, noi manchiamo proprio nell’oligopolio dove si prendono le decisioni più importanti. Allora questo è per me un grande problema di strategia. Nel PNRR abbiamo messo bene in evidenza gli obiettivi di transizione ma dobbiamo anche strumentarli, questo è quello che dobbiamo fare.

Con un comportamento di questo tipo distruggiamo le nostre imprese e le nostre strutture economiche. Come presidente della Commissione Europea sono stato il primo a volere il Protocollo di Kyoto; sono andato a chiedere l’elemosina in tutto il mondo per avere la firma perché americani e cinesi erano contro

Professore lei ha già citato il tema della raffinazione, settore che sta subendo una crisi congiunturale strutturale e rimane strategica in ogni caso, noi da questo punto di vista corriamo un rischio reale proprio parlando della delocalizzazione?

Il processo è già cominciato, è un problema serissimo. È chiaro che chi detiene il controllo sulla catena totale può porre un sistema dei prezzi molto diverso da chi invece agisce solo su un anello della catena, è quello che si chiama lo schiacciamento, “squeeze”. Noi rischiamo moltissimo di fare in modo che l’industria della raffinazione non sia più conveniente, per questo abbiamo assolutamente bisogno di un’azione combinata, perché non è che l’Italia possa da sola porre queste regole.

Allora secondo lei da questo punto di vista che tipo di contributo possono dare i biocarburanti?

Enorme, però bisogna produrli a costo conveniente e creare le situazioni legislative per cui si possa resistere.
Naturalmente, intendiamoci, qui bisogna fare anche uno sforzo tecnologico per arrivare a costi compatibili. Uno dei capitoli che abbiamo tutti in mente è quello dell’idrogeno, ma per l’idrogeno verde i costi di oggi sono enormi.

Come si può secondo lei decarbonizzare al minor costo? Ad esempio, c’è chi pensa che la strada migliore sia quella del mix garantito dalla neutralità tecnologica che però non sembra l’indirizzo comunitario nazionale del momento.

L’idea che ci sia un solo strumento che possa risolvere il problema, è un’altra delle cose allucinanti.

Unem in questi anni ha avuto un suo percorso, lei già citava la parola petrolio e unem ha avuto un tragitto di transizione per cui non si prevede più solo petrolio ma appunto come dicevamo i biocarburanti, i carburanti di sintesi. Lei cosa ne pensa di questo percorso?

Io ne penso tutto il bene possibile, però voglio dire che il protocollo di Kyoto non è stato rispettato perché non abbiamo offerto gli strumenti adeguati, poi è arrivato finalmente l’accordo di Parigi con nuove prospettive, ma anche stavolta non sono state rispettate. Allora la mia ossessione adesso non è battezzare il mondo pulito ma pulirlo concretamente, ed è una logica tutta diversa, è una logica microeconomica e non macroeconomica. Le premesse del PNRR sono positive rispetto alla transizione ecologica, ma bisogna capire come raggiungerla.

In una sua intervista recente a Energia diceva che l’accelerazione non ponderata verso la mobilità elettrica poteva generare una crisi industriale importante

Io e il professor Clô abbiamo proposto un Comitato Tecnico Scientifico per la Transizione Ecologica proprio per questo. Se si usano tecnologie di un tipo, i progetti infrastrutturali procedono per via differenti, e non c’è una politica uniforme e coordinata, rischiamo il fallimento di tutto il processo di transizione. E poi ci vuole la misurazione degli effetti. La misurazione oggi è un po’ vaga. Come per il Covid, va definito un centro di coordinamento delle decisioni.

È chiaro che chi detiene il controllo sulla catena totale può porre un sistema dei prezzi molto diverso da chi invece agisce solo su un anello della catena, è quello che si chiama lo schiacciamento, “squeeze”. Noi rischiamo moltissimo di fare in modo che l’industria della raffinazione non sia più conveniente

Professor Prodi, riusciremo a governare questa transizione in modo equo e che lasci meno morti sulla strada?

Questo è un gran problema. Il mio timore è quello è di intraprendere una transizione finta o non tener conto dei morti. Ma se non ne teniamo conto poi rischiamo di interrompere tutto il processo di cambiamento perché diventa insostenibile per tutti. Io sono partito dalla mia ossessione del solare, ma va ipotizzata una trasformazione che abbia caratteristiche simili per tutto il sistema economico, in ogni aspetto della vita; se pensiamo alla transizione in modo parcellizzato e frammentato falliremo. Noi invece dovremo guidarla la transizione, e se saremo tra i leader della tecnologia sarà anche un affare.

L’Europa si è posta obiettivi troppo ambiziosi?

Gli obiettivi non sono ambizioni ma si possono raggiungere con uno sforzo tecnico ed economico enorme. Forse sono traguardi ambiziosi in relazione all’attuale debolezza politica, ma rappresentano anche la grande occasione per rafforzare le decisioni a livello continentale. Se non facciamo questo diventiamo solo dei pagatori e invece noi dobbiamo essere protagonisti del cambiamento.