Muoversi 1 2022
5

LA “COALIZIONE SEMAFORO”

LA “COALIZIONE SEMAFORO”

PROVA A DETTARE LA LINEA ALL’EUROPA

di Antonio Pollio Salimbeni


Antonio Pollio Salimbeni

Direttore
Corrispondente da Bruxelles, Il Sole 24 Ore Radiocor

Il numero due del governo tedesco è il verde Robert Habeck, copresidente del partito ambientalista “Alleanza 90/I Verdi”: è vicecancelliere e ministro dell’economia anzi, dell’economia e della protezione del clima come si chiama ora. “Ridefiniamo il sistema tedesco affinché la riduzione delle emissioni diventi il principio organizzativo che guida la competitività economica”, spiega il sottosegretario al ministero Sven Giegold, già brillante esponente dei Verdi al Parlamento europeo. La svolta della “coalizione semaforo” è netta e inciderà sulle politiche industriali europee. Anche se si comincia a intravvedere qualche crepa. Infatti, il cancelliere Olaf Scholz (SPD), che all’ultimo Consiglio europeo di metà dicembre aveva chiesto l’eliminazione dal documento finale di riferimenti anche indiretti al ruolo dell’energia nucleare quale fonte energetica pro-clima ha alla fine annunciato l’astensione tedesca sul documento riconoscendo la funzione del nucleare per l’Unione, ma non per la Germania. Un equilibrismo difficile per un paese che proprio in questi giorni ha chiuso tre delle sue sei centrali nucleari. La radicalità non è nella natura politica anche della nuova coalizione e anche la SPD è attenta a non compromettere la posizione competitiva dell’industria nazionale non certo meno dei liberali.

Le stime sul risultato netto perdite potenziali/nuovi posti di lavoro sono molto variabili ma convergono su un punto: assicurare una “transizione equa” è una sfida gigantesca che richiederà più spesa pubblica innanzitutto in termini di formazione e non solo di sostegno ai redditi

La svolta politica tedesca consiste in una forte accelerazione della transizione energetica che fa perno sul mix delle fonti e sulla parallela trasformazione del modello di produzione industriale a partire dal settore auto: obiettivo, arrivare alla neutralità carbonica (emissioni nette zero) nel 2045, cinque anni prima rispetto a quanto previsto. La riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe del 65% al 2030, cinque volte quanto è stato realizzato in media negli ultimi 30 anni. Tra i capisaldi del programma di governo: entro il 2030 uscita (“idealmente”) dal carbone, invece che nel 2038 (la Germania resta il più grande utilizzatore di carbone nella regione e da anni era il solo paese in Europa occidentale senza impegni per eliminare il combustibile fossile entro fine decennio); consumo di elettricità per l’80% da fonti rinnovabili (contro il 65% previsto precedentemente), che comporta almeno il raddoppio della produzione di energia rinnovabile in rapporto al 2020; conferma della chiusura delle centrali nucleari entro il 2022; nuove centrali a gas quale “tecnologia di transizione” purché possano essere convertite a gas neutrali per il clima; aumento al 50% della quota di  rinnovabili per riscaldare gli edifici entro il 2030. E poi la mobilità, settore pilastro della rivoluzione produttiva verde: entro il 2030 almeno 15 milioni di auto elettriche (7-10 milioni il programma precedente), un milione di stazioni di ricarica e un terzo del percorso annuale dei camion “CO2  free”; sviluppo di trasporto ferroviario e trasporto in comune; piano idrogeno raddoppiato (entro il 2030 10 GW di capacità di elettrolizzatori contro 5 GW previsti). Infine – non per ultimo – il riferimento allo stop al motore termico entro il 2035 in linea con la proposta della Commissione europea, ma lasciandosi una porta aperta per una accelerazione.

La transizione all’elettrico non è all’ora zero: rispetto al 2020, nei primi tre trimestri del 2021 sono calate drasticamente le registrazioni di auto a benzina (-24%), diesel (-30%) e gas (-43%) e sono aumentate del 140% le elettriche, del 127% le ibride e del 62% le elettriche ibride¹.  Quindici milioni di auto completamente elettriche entro nove anni è un target ambizioso: attualmente ne circolano 570 mila, pari all’1% della “flotta” nazionale. Per raggiungerlo si punta su sussidi pubblici e sconti per l’acquisto (per il 2022 si arriva a 9 mila euro).

Nel contratto di governo nulla è indicato sui limiti di velocità sulle autostrade, caldeggiati da SPD e Verdi e ostacolati dai liberali (il ministro dei trasporti è Volker Missing, del FDP), anche questo un segno degli equilibrismi politico-ecologici della coalizione. Secondo l’Agenzia tedesca dell’ambiente, il limite a 120 km/h in autostrada ridurrebbe le emissioni annuali di 2,6 milioni di tonnellate, pari al 6,6% delle emissioni da auto e veicoli commerciali leggeri.

A fronte di queste prospettive c’è chi vede scenari di indebolimento dei cluster dell’auto con molte aree ridotte a “piccole Detroit”. I sindacati, è ovvio, sono in allarme da tempo, da quando è stata avviata la riduzione dei “tetti” di CO2 a livello europeo. I produttori hanno esercitato tutto il loro peso nel frenarla poi, aperta la partita della riconversione produttiva verde nello spazio di una generazione e mezzo, hanno puntato sul gioco d’anticipo. Ecco perché, come ha spiegato Siegfried Russwurm, presidente della BDI, l’equivalente in Germania della Confindustria, “ci siamo astenuti dal mettere in discussioni gli obiettivi climatici”. VW e BMW prevedono che metà delle vendite sarà di veicoli elettrici entro il 2030, entro il 2040 VW prevede il 100%. Mercedes solo elettrico dal 2030 “laddove le condizioni di mercato lo consentiranno”.

Preoccupa però l’effetto sull’occupazione. Uno studio dell’Istituto di ricerca di Monaco IFO getta l’allarme per circa 100 mila posti di lavoro diretti su quasi 900 mila se la produzione per i modelli a combustione interna comincerà a declinare dal 2025. Entro il 2030 sarebbero a rischio circa 70 mila posti. Un calcolo difficile perché non tiene conto della possibile creazione dei nuovi posti per produrre auto elettriche e batterie. La Piattaforma nazionale per il futuro della mobilità, organismo di consulenza governativo, sostiene che potrebbero sparire 400 mila posti di lavoro, ma non ci crede l’associazione dell’industria dell’auto VDA.

E anche all’interno della VDA su questo c’è divisione considerato che la maggioranza dell’associazione industriale chiede di non concentrarsi sulla mobilità totalmente elettrica per favorire un approccio "tecnologicamente neutrale" dato che sono un problema per il clima i combustibili fossili e non i motori a combustione in quanto tali. In sostanza, i combustibili sintetici realizzati con elettricità rinnovabile costituirebbero “un'ancora di salvezza”

La produzione diretta si ridurrebbe del 12% a causa dei volumi e della produttività più alta. Le stime sul risultato netto perdite potenziali/nuovi posti di lavoro sono molto variabili ma convergono su un punto: assicurare una “transizione equa” è una sfida gigantesca che richiederà più spesa pubblica innanzitutto in termini di formazione e non solo di sostegno ai redditi. 

La maggiore preoccupazione è per la componentistica. Secondo il presidente dell’IFO, Clemens Fuest, “la transizione alla mobilità elettrica sarà una sfida importante specialmente per i fornitori di componenti, settore in cui dominano aziende di taglia media”. Le auto elettriche non hanno bisogno di candele, sistemi di iniezione del carburante e di scarico, cambi o serbatoi, passare a componenti alternativi sarà particolarmente difficile. Secondo uno  studio commissionato da VW, per produrre un gruppo propulsore tradizionale occorre il 70% in più di manodopera rispetto alla produzione di un propulsore per un veicolo elettrico. Ciò significa che “non esiste una tendenza occupazionale uniforme nel corridoio di trasformazione nel prossimo decennio. Al contrario, ci sarà una miscela complessa e interconnessa di creazione, miglioramento e tagli di posti di lavoro“².  E qui va sottolineato come l’Italia sia tra i maggiori fornitori di componenti per auto: ciò che accade in Germania avrà ricadute automatiche sul nostro paese.

Il saldo netto resta un interrogativo aperto. Che la tradizionale catena dei fornitori sia molto più vulnerabile dei produttori “diretti” è già comunque chiaro: se ne hanno le avvisaglie anche nei gruppi maggiori di caratura globale come Bosch e Continental. E anche all’interno della VDA su questo c’è divisione considerato che la maggioranza dell’associazione industriale chiede di non concentrarsi sulla mobilità totalmente elettrica per favorire un approccio “tecnologicamente neutrale” dato che sono un problema per il clima i combustibili fossili e non i motori a combustione in quanto tali. In sostanza, i combustibili sintetici realizzati con elettricità rinnovabile costituirebbero “un’ancora di salvezza” per molte aziende della supply chain. Ma Volkswagen ha scelto decisamente a favore della batteria elettrica portandosi dietro BMW e Daimler.

1 https://www.acea.auto/files/Economic_and_Market_Report-First_three_quarters_of_2021.pdf

2 https://www.volkswagenag.com/presence/stories/2020/12/frauenhofer-studie/6095_EMDI_VW_Summary_um.pdf