Muoversi 1 2023
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I LOW CARBON FUELS: ORIGINI E TIPOLOGIE

I LOW CARBON FUELS: ORIGINI E TIPOLOGIE

di Lisa Orlandi e Marco D’Aloisi

Lisa Orlandi

Direttore RiEnergia Analista RiE

Marco D'Aloisi

Direttore di Muoversi

Nella seconda decade del ventunesimo secolo, l’economia globale ha beneficiato quasi costantemente di capitali a prezzi convenienti e di abbondante offerta di energia. Le misure monetarie espansionistiche adottate pressoché universalmente a seguito della crisi del 2008, unite al breakthrough tecnologico del petrolio e gas di scisto (shale), hanno inaugurato una stagione di bonanza nei mercati energetici globali. Parallelamente, la questione climatica ha assunto sempre più peso, uscendo dalla nicchia scientifica, diffondendosi nelle agende politiche internazionali, così come nelle strategie e nei bilanci d’impresa, fino a penetrare le coscienze. Progressivamente, sempre più denaro è stato indirizzato a favore di investimenti che, oltre a rispondere ai classici indicatori finanziari, fossero anche ESG-friendly  ossia allineati ai tre criteri centrali per le analisi di sostenibilità.

In questo quadro apparentemente corretto e lineare, si mescolano però poche luci e tante ombre. Una su tutte: la posizione dominante sul clima e sulla collegata decarbonizzazione delle economie mondiali non ha considerato la necessità di accompagnare la transizione verso fonti a minor impatto ambientale anche supportando l’industria energetica esistente che, invece, nella sua evoluzione verso forme di energia più sostenibili sotto il profilo emissivo, può fornire un contributo determinante.

L’approccio dominante sul clima e sulla decarbonizzazione delle economie mondiali non ha considerato la necessità di accompagnare la transizione verso fonti a minor impatto ambientale anche supportando l’industria energetica esistente che, invece, vuole e può fornire un contributo determinante

L’idea che si possa realizzare un taglio netto e veloce rispetto al passato presenta quindi un grave vizio di origine, ignorando una molteplicità di questioni tutt’altro che marginali: i tempi necessari per la sostituzione tra fonti; l’adattamento della domanda; il principio della neutralità tecnologica; il tema centrale della sicurezza energetica in tutte le sue dimensioni; la piena consapevolezza del significato di sostenibilità, che concilia l’attenzione verso l’ambiente con lo sviluppo sociale ed economico delle comunità. A livello europeo, questa narrazione climatica sbilanciata si è riflessa nella definizione di una normativa incardinata di fatto sull’estromissione delle fonti fossili, corroborando l’errato assunto secondo cui lo sviluppo di queste ultime vada giocoforza a detrimento delle fonti rinnovabili. L’industria fossile, ormai da tempo, sta cambiando pelle: evolvendo verso un modello di business più diversificato e proiettato ad una forte riduzione dell’impronta carbonica dei suoi prodotti finali. Al contempo, poggia su conoscenze, competenze, infrastrutture e tecnologie indispensabili per supportarne l’evoluzione e accompagnare l’ineludibile processo di transizione.

Da questa premessa, parte lo studio realizzato dal Rie di Bologna in collaborazione con unem, presentato lo scorso 30 novembre in una conferenza stampa, che propone un punto di vista più ampio sulle potenzialità dei LCF, lo stato dell’arte delle tecnologie, le principali caratteristiche tecniche, logistiche ed economiche, i fattori abilitanti, la disponibilità di materie prime per la loro produzione ai fini di una reale decarbonizzazione del trasporto stradale.

I prodotti analizzati dallo studio vanno anzitutto classificati in funzione della materia prima utilizzata per la loro produzione nonché delle tecnologie produttive. Ci sono i biocarburanti avanzati di origine biogenica e da Forsu, che possono essere utilizzati in miscela con il prodotto fossile o in purezza, che sono i candidati più idonei alla decarbonizzazione dei trasporti in quanto consentono un significativo abbattimento delle emissioni di CO2 rispetto al prodotto fossile, benché funzione del feedstock e del processo produttivo impiegato, arrivando a percentuali di riduzione delle emissioni prossime al 100% nel caso di impiego di rifiuti e sottoprodotti: il bioetanolo che si ottiene da biomasse derivanti da residui agricoli/forestali o da colture energetiche non alimentari, quindi non soggette agli impatti indiretti derivanti dal cambiamento nell’uso del suolo (rappresentati dalle cosiddette emissioni ILUC). I processi di produzione vanno dall’utilizzo di specifici microrganismi, impiegati per estrarre zuccheri sottoprodotti dalle biomasse iniziali, a processi biochimici utilizzati per trasformare i residui in liquidi e successivamente in gas. Attualmente è disponibile su scala industriale la tecnologia per convertire biomasse lignocellulosiche in bioetanolo avanzato utilizzabile in miscela con la benzina, elevandone notevolmente il numero di ottano e in grado di ridurre le emissioni di anidride carbonica fino al 90% rispetto al carburante fossile. Il bioetanolo è ancora poco impiegato in Italia, essendo l’obbligo sui biocarburanti quasi interamente assolto con il biodiesel. Tuttavia, in prospettiva, il suo uso in miscela nelle benzine sarà inevitabile. Il PNIEC prevede l’introduzione graduale a partire dal 2023 di obblighi specifici di miscelazione di biocomponenti anche per le benzine.

I progressi scientifico-tecnologici e i grandi sforzi delle imprese energetiche hanno messo a disposizione un’ampia gamma di prodotti bio o di sintesi che si possono utilizzare, dal bioetanolo al biodiesel, dal bio GNL, ai diesel paraffinici sintetici ai carburanti ottenuti riciclando rifiuti di origine non riciclabile

Abbiamo poi il biodiesel che è ottenibile a partire da biomasse derivanti da residui agricoli o da colture energetiche non alimentari. Riproduce le caratteristiche chimico-fisiche e prestazionali del gasolio minerale, con il quale viene miscelato ed utilizzato nei moderni motori diesel. A parte una densità energetica leggermente inferiore a quella dei carburanti tradizionali, non si rilevano variazioni in termini di prestazioni e libertà di impiego rispetto a benzina e gasolio fossili.  Vi sono poi diesel paraffinici sintetici, indicati con la sigla “XTL/HVO”, dove XTL è un termine che descrive genericamente un combustibile liquido ottenuto mediante processo Fischer-Tropsch a partire da gas naturale (GTL – Gas to Liquid), biomassa (BTL – Biomass to Liquid) o carbone (CTL – Coal to Liquid), mentre con HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) si intende il processo di idrogenazione di oli vegetali. La produzione di LCF liquidi da Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano – FORSU deriva invece da processi waste-to-fuel da cui si può ricavare un bio-olio destinabile al trasporto marittimo, visto il basso contenuto di zolfo, o raffinabile per ottenere biocarburanti avanzati. I volumi complessivi di FORSU oggi utilizzati soprattutto per produrre biogas/biometano e compost per l’agricoltura dovrebbero aumentare grazie ad un miglioramento dei processi di raccolta.

Altri prodotti che rientrano nella categoria LCF sono il biometano e il bio-GNL. Il primo è il risultato della raffinazione e purificazione del biogas (upgrading) tramite rimozione di acqua, CO2, contaminanti come silossani, anidride solforosa e ammoniaca, al fine di renderlo impiegabile nella rete e dalle utenze del gas naturale senza la necessità di apportare modifiche agli impianti. Presenta una percentuale di metano superiore al 95% e può essere potenzialmente impiegato sia nell’autotrazione che per soddisfare gli usi domestici e industriali. È un prodotto quindi perfettamente in linea con il metano fossile per quanto riguarda le caratteristiche qualitative e prestazionali. Nella sua forma liquefatta di “BioGNL” può inserirsi nella stessa categoria del Gas Naturale Liquefatto (GNL) di origine fossile ed essere utilizzato come biocarburante per i mezzi pesanti e navali. Le materie prime principalmente impiegate per la produzione di biogas sono colture agricole, rifiuti e sottoprodotti agricoli, agro-industriali, zootecnici, FORSU e altri rifiuti e sottoprodotti (es. fanghi di depurazione). La CO2 rimossa con l’upgrading, di natura biogenica, costituisce inoltre componente utile per successivi processi di metanazione e può concorrere alla produzione di metano sintetico.

Per quanto riguarda prodotti non derivati da biomassa, ci sono i Recycled Carbon Fuels (RCF) che sono carburanti liquidi e gassosi prodotti da flussi di rifiuti liquidi o solidi di origine non rinnovabile o dal gas derivante dal trattamento dei rifiuti e dal gas di scarico di origine non rinnovabile (ad esempio da plastica). In sintesi, sono ottenuti a partire da rifiuti indifferenziati e rifiuti plastici (plasmix) non utilizzabili per il riciclo chimico della plastica. I gas di scarico associati ad alcune produzioni industriali, ad esempio quelli delle acciaierie, contengono monossido di carbonio come sottoprodotto. La parte di questo non impiegata nel processo produttivo, viene convertita attraverso un procedimento di fermentazione batterica in etanolo, direttamente utilizzabile come carburante per autotrazione, oppure oggetto di ulteriore conversione per ottenere un fuel di tipo drop-in impiegabile nell’aviazione. I RCF ottenuti in questo modo presentano una caratteristica interessante: da un vettore energetico di basso valore, quale appunto il monossido di carbonio, si ottiene un prodotto energetico di valore elevato e flessibile negli usi come, ad esempio, i carburanti liquidi. L’idea di convertire i rifiuti plastici in combustibili ha invece radici antiche: la grande maggioranza delle materie plastiche è ancora prodotta a partire da materie prime fossili, soprattutto petrolio e gas.

Un ultimo capitolo riguarda i carburanti rinnovabili di origine non biologica, in cui rientrano gli e-fuels che sono ottenuti dalla sintesi tra idrogeno (“verde” e“blu”), a sua volta prodotto tramite elettrolisi dell’acqua utilizzando elettricità da fonti rinnovabili ed anidride carbonica catturata

I materiali plastici conservano gran parte dell’energia chimica ricavata dagli idrocarburi che, pertanto, può essere convertita in carburante tramite opportuni processi termochimici. Per gli RCF a base di plasmix, la caratteristica più interessante è l’opportunità di generare fuels e al contempo benefici per la gestione dei rifiuti, dal momento che i rifiuti plastici che alimentano gli impianti di produzione di RCF sono le frazioni di scarto non destinate al riciclaggio di materia ma ad incenerimento oppure smaltimento in discarica (il processo di conversione chimica dei rifiuti plastici potrebbe persino attingere ai rifiuti già conferiti in discarica con un progressivo svuotamento delle stesse).

Infine, abbiamo i carburanti rinnovabili di origine non biologica, in cui rientrano gli e-fuels che sono ottenuti dalla sintesi tra idrogeno (“verde” e “blu”), a sua volta prodotto (alias isolato) tramite elettrolisi dell’acqua utilizzando elettricità da fonti rinnovabili, ed anidride carbonica catturata direttamente dall’aria o, molto più convenientemente, da sorgenti concentrate (ad esempio settori industriali ad alta intensità energetica quali raffinerie, cementerie, acciaierie, ecc.). I prodotti finali sono idrocarburi sintetici di natura gassosa o liquida formulati in modo del tutto simile ai corrispondenti prodotti convenzionali (benzina, diesel, GNC, GNL, ecc.). Avendo caratteristiche merceologiche e prestazionali analoghe a quelle dei combustibili tradizionali, gli e-fuels – classificati come combustibili drop-in – possono essere immediatamente impiegati su tutto il parco veicolare circolante esistente, sia passeggeri che merci per il trasporto stradale, sino al 100% e senza alcun adattamento tecnico e naturalmente su tutti i veicoli con MCI di nuova immatricolazione. La produzione degli e-fuels è oggi ancora sperimentale e la transizione dalla fase pilota-dimostrativa attuale ad impianti in grado di attivare una produzione su scala commerciale richiede realisticamente più di un decennio. Serve inoltre un aumento molto forte della capacità di generazione elettrica da fonti rinnovabili, in considerazione dell’intrinseca inefficienza di conversione che caratterizza questo genere di produzioni.

 


 

1 ESG: Environment, Social e corporate Governance.