Muoversi 4 2021
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SE NON SI CAMBIA RISCHIAMO DI CONSEGNARE LA CRESCITA AI PAESI EXTRA-UE

SE NON SI CAMBIA RISCHIAMO DI CONSEGNARE LA CRESCITA AI PAESI EXTRA-UE

intervista a Nicola Zampella

Nicola Zampella

Responsabile Relazioni Esterne Centro Studi Federbeton

Il vostro è un settore energivoro e non è ancora chiaro quanto il pacchetto “Fit for 55” inciderà sul costo dell’energia. Avete valutato i possibili impatti economici?

L’Italia e l’Europa stanno già pagando gli effetti di una crisi energetica che non ha precedenti nella storia recente: il prezzo del gas metano è quadruplicato rispetto allo scorso anno, mentre il costo dell’energia elettrica ha registrato il suo massimo storico nei primi giorni di ottobre. Il mix energetico e il costo dei diritti di emissione hanno subito un incremento complessivo del +581% rispetto alla media dello scorso anno e il rincaro del costo dei materiali energetici si traduce in un incremento del costo complessivo di produzione di quasi il 50% da inizio 2021. Dopo questa tempesta autunnale, molto probabilmente, il mercato dell’energia si assesterà su costi più elevati.

Il pacchetto climatico europeo, invece, avrà un effetto permanente e pervasivo sul costo dell’energia, delle commodity, dei trasporti; il sistema economico in generale dovrà trovare un nuovo equilibrio su livelli più alti di costo per molti prodotti e servizi. Il successo, nella ricerca di questo nuovo equilibrio, sta nel difendere l’industria europea più attenta alle emissioni, evitando il rischio di essere soppiantata da flussi di importazione provenienti da Paesi con meno tutele ambientali.

Il sistema economico in generale dovrà trovare un nuovo equilibrio su livelli più alti di costo per molti prodotti e servizi. Il successo, nella ricerca di questo nuovo equilibrio, sta nel difendere l’industria europea più attenta alle emissioni, evitando il rischio di essere soppiantata da flussi di importazione provenienti da Paesi con meno tutele ambientali

Tra le proposte c’è anche la revisione della direttiva ETS. Quali sono gli aspetti che più vi preoccupano e in che direzione andrebbe rivista?

L’Emission Trading System-ETS è diventato una sorta di fiore all’occhiello delle politiche ambientali europee, preso ad esempio dall’intera comunità internazionale. A 24 anni dalla sua introduzione, la direttiva andrebbe però rivista in un’ottica di maggiore tutela dei comparti manifatturieri europei che rischiano di perdere competitività. I prezzi sono schizzati, infatti, a oltre 60 euro/tonnellata a settembre 2021, più del doppio del 2020 e oltre 10 volte i valori che si erano avuti fra il 2012 e il 2017. Il 2021 rappresenta, inoltre, l’anno nel quale il settore del cemento registra un importante deficit di quote gratuite di emissione determinato da regole sempre più stringenti e dal rimbalzo produttivo che il mondo delle costruzioni sta intercettando nella fase di ripresa dopo la crisi Covid.

In assenza di qualsiasi sistema di qualsiasi sistema di tassazione della CO2 in ingresso alla frontiera, il settore italiano rischia di consegnare questa crescita, determinata anche dall’impiego di risorse europee straordinarie e che giunge dopo una crisi di oltre 15 anni, ai Paesi extra-UE. L’introduzione del sistema di adeguamento alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) solo nel 2026, così come previsto nel pacchetto “Fit for 55”, espone il settore a un concreto rischio di delocalizzazione.

Nella revisione della direttiva ETS occorrerebbe innanzitutto potenziare quelle misure finalizzate a difendere l’industria europea dalla delocalizzazione produttiva. Le imprese europee, a causa dei costi per la decarbonizzazione, potrebbero perdere di competitività nei confronti dei Paesi che non fanno parte del sistema ETS. Per i comparti industriali in cui il vettore elettrico non traguarda la completa decarbonizzazione andrebbe elaborato, invece, un “piano di decarbonizzazione settoriale” per supportare, con strumenti ad hoc, ogni singolo settore nella transizione ecologica.

Nella revisione della direttiva ETS occorrerebbe innanzitutto potenziare quelle misure finalizzate a difendere l’industria europea dalla delocalizzazione produttiva. Le imprese europee, a causa dei costi per la decarbonizzazione, potrebbero perdere di competitività nei confronti dei Paesi che non fanno parte del sistema ETS. Per i comparti industriali in cui il vettore elettrico non traguarda la completa decarbonizzazione andrebbe elaborato, invece, un “piano di decarbonizzazione settoriale”

Considerati gli obiettivi di riduzione delle emissioni ineludibili, come vedete il contributo dei Low carbon Fuels per decarbonizzare il vostro settore?

Il settore del cemento è in grado di utilizzare combustibili anche molto diversi tra loro, tra i quali, appunto, i clean fuels. Le regole di contabilizzazione del carbonio incorporato in questi prodotti saranno fondamentali. Nella produzione di cemento, oltre il 60% delle emissioni sono legate al processo chimico di produzione.

I clean fuels, anche carbon free, potranno contribuire ad abbattere una parte delle emissioni, ma per traguardare la neutralità climatica, una delle leve chiave per il settore del cemento sarà la cattura della CO2. Questa tecnologia potrebbe coinvolgere anche la filiera dei clean fuels, nella fase di utilizzo della CO2 catturata. A livello globale vi sono, infatti, progetti pilota per la produzione di combustibili ottenuti combinando idrogeno e anidride
carbonica catturata.

Quanto è concreto il rischio delocalizzazione per le filiere industriali?

Per l’industria del cemento il rischio è molto concreto ed è determinato dalla attesa esclusione del settore da tutte le agevolazioni per le imprese energivore. Il cemento, nonostante abbia il processo industriale a più alta intensità di consumi energetici è stato valutato, a livello UE, un business locale e dovrà, al pari degli operatori dell’energia elettrica, trasferire agli operatori a valle il costo di tutte le misure ambientali.

Per evitare la delocalizzazione produttiva, sarebbe opportuno un approccio più graduale del “Fit for 55” che preveda strumenti di tutela per il settore e l’introduzione prima possibile della misura di dazi ambientali sul carbonio (CBAM), prevista dal pacchetto europeo solo a partire dal 2026.

Il pacchetto dovrà passare il vaglio di Consiglio e Parlamento europeo prima di diventare vincolante. Avete in programma iniziative specifiche verso le istituzioni europee e che spazi di intervento vedete?

Federbeton ha recentemente presentato la strategia di decarbonizzazione del settore cemento, articolata in obiettivi, strumenti e scadenze, alla presenza delle principali Istituzioni coinvolte. È stato condiviso un messaggio importante: al di là dell’impegno del settore, per la decarbonizzazione è necessario il supporto delle Istituzioni e un contesto economico e culturale favorevole. Senza adeguate e immediate misure di sostegno l’industria è concretamente a rischio.

Prima fra tutte, è necessaria l’immediata entrata in vigore del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM). Dovrà, inoltre, essere rivista la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (Energy Taxation Directive), che attualmente esclude la produzione del cemento dalle esenzioni. Le istanze dell’industria italiana del cemento sono allineate a quelle di gran parte della manifattura italiana. Recentemente, insieme a Confindustria, sono state portate all’attenzione dei referenti italiani nei gruppi di lavoro europei responsabili delle principali misure che verranno introdotte o rafforzate in tema “Fit for 55”.